Io i libri li “vedo”, li “sento” e li “annuso”, prima e durante la stesura – dall’inizio alla fine. Come un film.
Pensato da cinque anni, “ibernato” durante la stesura di altre opere, trascurato nel corso delle riprese di Io&George, ma mai dimenticato, Caffè amaro è stato il fedele compagno a cui tornavo la sera, nei momenti di solitudine, e che talvolta mi sfruculiava – “Non dimenticarti che ci sono anch’io!” –, riportandomi al mio posto di osservatrice nascosta nel giardino profumato di casa Marra, regno della casta Maricchia, l’anziana vergine valdese rimasta devota alla sua fede nonostante il diminutivo affibbiatole in Sicilia: vedevo i vestiti semplici di Maria, la ascoltavo suonare Chopin… gustavo i pranzi da Alfredo, rabbrividivo sentendo le bombe che cadevano su Palermo… pativo le frustrazioni di Giosuè e mi rasserenavo nella quiete della sublime villa di Altarello.
La lunga gestazione ha permesso a Caffè amaro – a differenza di quanto accaduto agli altri miei romanzi – di crescere e trasformarsi, di divagare e poi ritrovare la sua strada: quella di una grande passione tra due giovani diversi per razza e religione ma legati uno all’altra come trizze ’i fimmina. Incapaci di dimenticarsi.
Simonetta Agnello Hornby